Sulla ripresa del dibattito circa le riforme istituzionali
SULLA RIPRESA DEL PROCESSO DI RIFORMA ISTITUZIONALE NELLA XVI LEGISLATURA
La Fondazione Magna Carta ha avviato una riflessione sulla necessità di riprendere il processo di riforme istituzionali nella XVI Legislatura. Il presente documento è stato redatto dai professori Giuseppe de Vergottini, Tommaso Edoardo Frosini, Giovanni Pitruzzella e Nicolò Zanon.
A) L’inizio della XVI Legislatura riapre il dibattito sulle riforme.
Vi sono riforme non rinviabili. Ulteriori fallimenti sulla strada di una costruttiva revisione costituzionale non farebbero che aumentare la inefficienza dell’apparato costituzionale che dopo 60 anni richiede un intervento non demolitivo, considerata la sicura validità del suo impianto, ma di significativa manutenzione. La proposta che viene presentata è concepita in termini minimali al fine di semplificare al massimo l’iter decisionale che Governo e Parlamento intendessero percorrere. Essa tiene conto sia del disegno di legge costituzionale deliberato dal centrodestra nel 2005 e bocciato nel 2006 dal referendum popolare; sia del testo del disegno di legge passato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati e mai esaminato dal Senato nella XV legislatura (c.d. Bozza Violante).
B) La proposta che si presenta si limita volutamente alla seconda parte del
testo costituzionale, anche se si è consapevoli della esigenza di interventi
estesi anche alla prima parte. L’ordinamento italiano avrebbe infatti bisogno
di un aggiornamento profondo e questo può essere attuato senza
compromettere i principi fondamentali della attuale Costituzione, principi
che oggi sono per l’essenziale condivisi dalle diverse costituzioni europee e
dalle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo e che quindi in ogni caso non sarebbero pregiudicati da una revisione. Anche la prima parte, infatti, mostra i segni del trascorrere del tempo. Si pensi alla assenza della clausola europea, presente praticamente ovunque, e alla mancata disciplina delle missioni di pace all’estero. Si pensi alle lacune in tema di diritti fondamentali, quali il diritto alla tutela dei dati personali e dell’ambiente salubre. Si pensi alla insufficienza dell’articolo 21 che ignora la radiotelevisione e la multimedialità. Si pensi alla obsolescenza della normativa sui diritti economici ancora legata alla concezione arcaica della economia mista a prevalenza statalista, superata dai trattati comunitari. A questo proposito occorre con fermezza respingere la tesi delle vestali della purezza costituzionale che hanno inculcato nella cultura giuridica e politica un vero e proprio tabù secondo cui il solo parlare di revisione della prima parte significherebbe attentare alla Costituzione. Secondo costoro cambiare il testo costituzionale sarebbe come tradire il proposito del costituente e sostanzialmente violare i principi informatori della Costituzione quali configurati dall’originario patto di fondazione dell’attuale ordinamento. Qui occorre fare uno sforzo di obiettività e riconoscere che il cambiamento del testo costituzionale – quando la realtà dei rapporti presenti nella società politica lo richiedano con insistenza – non deve essere visto come un tradimento delle radici costituzionali. Da un sintetico esame comparativo emerge come la modificabilità del testo formale della costituzione sia principio pacificamente accolto dagli ordinamenti contemporanei, che tuttavia si preoccupano di assicurare il rispetto dei principi quadro caratterizzanti. E ciò anche se talvolta si nota una resistenza ad operare adeguamenti formali alla mutata realtà politico-costituzionale, resistenza spesso implicante il ricorso a tecniche compensative della mancata revisione formale tramite modifiche adeguatrici in via interpretativa ad opera dei giudici, come avvenuto in Italia con la giurisprudenza costituzionale che ha creativamente rielaborato parte del Titolo V, o tramite la formazione di convenzioni che consentano un adeguamento alla nuova realtà fattuale pur in vigenza di normative formali insufficienti. Del resto, poi, la prima parte è già stata revisionata. Con legge di revisione si è introdotta la pari opportunità, modificato il diritto elettorale dando il diritto di voto agli italiani all’estero, si è abolita la pena di morte. Pertanto, in realtà, la scelta da fare in tema di diritti è se lasciare le modifiche alla oscillazione e alla creatività delle giurisprudenza o utilizzare lo strumento voluto dalla Costituzione che è quello di una revisione tramite il legislatore.
C) Confinando quindi l’attenzione alla sola seconda parte quanto ai contenuti si prospetta:
1) superamento del bicameralismo paritario. La Camera dei deputati diviene
il polo di riferimento del rapporto fiduciario e organo prevalente nel
procedimento legislativo.
2) Riconsiderazione del criterio di rappresentanza nel Senato e delle
competenze dello stesso nel procedimento legislativo.
3) Fermo restando che il Senato sarebbe la camera di rappresentanza degli interessi regionali (eliminando la rappresentanza eventuale delle autonomie locali previa riforma del “nuovo” 114), occorre decidere se seguire il modello Bundersrat tedesco oppure quello della elezione da parte delle assemblee regionali (austriaco).
4) Riduzione del numero dei componenti delle due camere.
5) Ridefinizione del procedimento legislativo.
– Il procedimento bicamerale paritario rimane per le leggi costituzionali e per quelle che riguardano l’organizzazione dello stato e la disciplina delle autonomie territoriali.
– Il procedimento ordinario, che dovrebbe essere la regola, prevede un ruolo prevalente della Camera dei Deputati. Alla delibera in prima lettura della Camera segue l’invio al Senato che entro precisi termini può proporre modifiche che non vincolano la Camera che avrebbe la parole finale. Nei casi in cui l’oggetto del disegno di legge riguardi questioni di interesse regionale (che andrebbero tassativamente enunciate) la Camera può respingere le modifiche del Senato con maggioranza da specificare.
– Il procedimento diretto ad approvare le leggi che fissano i principi
fondamentali ai sensi dell’art. 117, terzo comma, vedrebbe una preferenza
per il Senato ma sempre con l’approvazione finale della Camera a
maggioranza assoluta.
– Va inserita la commissione di conciliazione fra le due assemblee (ad es. sul
modello previsto dal nuovo art. 70 quale indicato nella precedente proposta
della destra).
6) Rapporti Governo-Parlamento.
Il Governo sarebbe caratterizzato dal ruolo “forte” del Presidente del
Consiglio. E’ il presidente che riceve la investitura fiduciaria, propone la
nomina e la revoca dei ministri, decide lo scioglimento anticipato della
Camera dei Deputati.
La dialettica politica si svolge prevalentemente nella Camera dei Deputati.
Il Governo controlla l’ordine del giorno della Camera e chiede la priorità
nella discussione e votazione dei disegni di legge caratterizzanti la sua
politica. La mozione di sfiducia va rivista: o attraverso la proposizione da parte di una quota più consistente di parlamentari (come previsto dalla Bozza Violante) o sostituita dal meccanismo della sfiducia costruttiva.
Andrebbe inserito un esplicito riferimento allo statuto della opposizione in
considerazione della scelta strategica di consolidamento della
bipolarizzazione con alternanza (ad esempio utilizzando la formulazione del nuovo testo dell’art. 64 contenuto nel disegno di legge della destra).
7) Apposite disposizioni possono consolidare alcuni principi già previsti
dalla legge 400/1988 in tema di normazione primaria e secondaria del
Governo.
8) Andrebbero costituzionalizzate le autorità di garanzia.
9) Il Presidente della Repubblica vedrebbe il suo ruolo marginalmente
riconsiderato nelle disposizioni in tema di formazione del Governo e di
scioglimento anticipato.
10) La Bozza Violante trascura completamente l’esigenza di riconsiderare
gli errori fatti nel disegnare il rapporto Stato/Regioni nel “nuovo” art. 117
uscito dalla riforma del 2001. Tenendo conto di quanto emerso nella pratica
e dagli indirizzi della Corte Costituzionale l’art. 117 va ridisegnato
tracciando più realistici confini fra competenze centrali e regionali,
salvaguardando le esigenze unitarie.
D) Conclusivamente, poiché la ripresa dell’attività politica all’inizio della XVI legislatura riapre il dibattito sulla revisione, i sottoscritti ritengono doveroso prospettare quella che potrebbe essere una traccia utile per affrontare il percorso delle riforme. Queste proposte sono dettate dalla volontà di mettere a frutto l’esperienza maturata nelle passate legislature. Sono in linea con criteri razionali di intervento sul sistema costituzionale di cui non negano la legittimità e il fondamento e compatibili con la concezione della costituzione famigliare al nostro ordinamento e agli ordinamenti a governo parlamentare che gli sono vicini. Secondo i proponenti qualsiasi intervento da impostarsi a livello politico dovrebbe venire proposto in modo da essere, non solo accettabile politicamente nei suoi contenuti, ma anche tecnicamente irreprensibile. Occorrerebbe quindi evitare fin da oggi di doversi trovare davanti a inaccettabili soluzioni formali del tipo di quelle contenute nel disegno di legge respinto dal referendum del 2006.
E) In una prospettiva di sistema, ove fosse credibile una considerazione più
ampia, occorrerebbe spostare l’attenzione sulle norme che disciplinano la
revisione. Occorrerebbe allora tenere presente che la attuale costituzione prevede un unico procedimento di revisione che non consente di distinguere semplici emendamenti di clausole contenute in specifiche disposizione dai casi di revisione di intere parti del testo. Non esiste cioè la distinzione fra revisione tout-court e revisione totale. Per quest’ultima andrebbe modificato l’art. 138 prevedendo una procedura aggravata includente l’obbligatorietà del referendum confermativo. In caso di revisione di istituti costituzionali significativi (criterio qualitativo) o di parti estese del testo (criterio quantitativo) si rivela del tutto rischioso utilizzare la possibilità, formalmente consentita, di percorrere la strada della delibera di maggioranza (e quindi rinunciando ai 2/3) salvo verifica
referendaria. È necessario perciò che l’attuale maggioranza faccia ogni
sforzo per coinvolgere l’opposizione nel processo di revisione e che questa
non trasformi tale disposizione in un diritto di veto da utilizzare a fini
ostruzionistici. Gli esiti di simile scelta fatta dalla sinistra nel 2001 hanno condotto a un risultato apparentemente favorevole ma sostanzialmente disastroso. La reiterazione da parte della destra nel 2005 ha dato un successo momentaneo (la approvazione del disegno di legge a livello parlamentare) smentito dall’esito referendario. E’ quindi del tutto auspicabile, finchè esiste il 138, percorrere la strada della maggioranza allargata ai 2/3.