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C’è un solo antidoto contro le campagne stampa sulla commissione Mitrokhin: conoscere le carte, analizzarle alla luce di una rigorosa critica delle fonti e dare delle valutazioni fondate sulla conoscenza e non su più o meno torbide supposizioni. Per questo 34 docenti di storia hanno sottoscritto un appello ai Presidenti di Senato e Camera. Chiedono, nel rispetto della legge, che sia fatto tutto il possibile per dare pubblicità alle carte raccolte dalla Commissione Mitrokhin. Se si prendono in considerazione i profili professionali e biografici di questi storici (che insieme al testo dell’appello i lettori possono trovare a pagina 10 del Giornale), risalta subito un dato: la richiesta proviene da docenti tra i più illustri dell’accademia italiana, senza distinzioni di appartenenza politica o storiografica. Chiedono che la vicenda della Commissione Mitrokhin non finisca in un assurdo tutto italiano. Abbiamo letto, infatti, sui principali quotidiani veleni di ogni tipo, purtroppo non solo metaforici. Abbiamo letto interviste ad agenti uccisi utilizzate alla bisogna, con un anno di ritardo. Da ultimo, abbiamo letto persino le conversazioni del Presidente della Commissione, frutto d’intercettazioni telefoniche. Tutto è lecito, dunque, e tutto può essere reso pubblico perfino contro la legge. Tranne le carte raccolte dalla Commissione per le quali, invece, è stata disposta la segretazione.

Il risultato di tutto ciò? Una Commissione d’inchiesta parlamentare, anziché produrre più chiarezza su un nodo fondamentale della nostra storia repubblicana, rischia di stendere su di essa un velo d’ignoranza più difficile di ieri da rimuovere. Rischia cioè di trasformarsi in una gigantesca intercapedine di via Gradoli, nella quale documenti storiografici possono restare nascosti con sigillo istituzionale. In tal modo, non soltanto si pongono limiti e freni alla ricerca storica – che non è mai una bella cosa – ma si contribuisce anche ad alimentare quella ridda di supposizioni, rivelazioni e ricatti alla quale attoniti stiamo assistendo. Perché solo quando la documentazione verrà conosciuta sarà possibile capire meglio l’effettiva posizione di alcuni dei protagonisti di questa storia, un giorno presentati come carnefici per ritrovarli, quello appresso, nel ruolo di vittime sacrificali.

Varrà la pena, a questo punto, sgombrare il campo da alcuni equivoci. Il primo è che questa richiesta di chiarezza nulla ha concettualmente a che fare con supposte scorrettezze nella conduzione dell’indagine. I sottoscrittori, dal loro punto di vista, correttamente ignorano il problema. Noi, dal nostro, la pensiamo come il Presidente della Camera Fausto Bertinotti: se vi è qualcuno che può eventualmente sindacare l’operato di una Commissione è la magistratura ordinaria. Non certo il Parlamento e tanto meno il governo. Perché il rischio, in entrambi questi casi, sarebbe quello di decretare la fine dell’autonomia istituzionale delle quali le Commissioni d’inchiesta, per dettato costituzionali, non possono fare a meno. Una circostanza dovrebbe, però, essere a tutti evidente: non si può utilizzare l’alibi della correttezza per distogliere l’attenzione dall’oggetto dell’inchiesta e dalla sua importanza. Si tratta di ambiti differenti, ed è apprezzabile che quanti per mestiere cercano di ricostruire la verità storica li tengano separati.

Sarà bene, a questo punto, chiarire un altro equivoco. E’ meschino, provinciale e riduttivo ritenere che l’oggetto della Commissione Mitrokhin – e con essa la documentazione secretata – concerna l’attuale competizione politica italiana. Se sono state accertate responsabilità personali è ovviamente bene che vengano fuori, con tanto di prove. Ma la vicenda del KGB in Europa rappresenta, innanzi tutto un drammatico capitolo della storia della Guerra Fredda. Per quel che concerne l’Italia, esso prescinde persino il rapporto tra Urss e Partito Comunista. Se si cerca all’estero in una qualunque biblioteca alla voce KGB si ritrovano numerose pubblicazioni storiche: alcune molto buone, altre meno. Se invece, la stessa ricerca la si compie in Italia, essa si rivela vana. Chi vuole che le carte restino secretate di fatto chiede silenzio e vuole ignoranza. Il Presidente della Camera e quello del Senato, invece, usando prudenza e accortezza, avrebbero la possibilità di far sì che qualcosa cambi e si sappia.

Abbiamo apprezzato la difesa che il Presidente Marini ha fatto delle prerogative parlamentari condannando le intercettazioni delle quali è stato vittima il Presidente della Commissione Paolo Guzzanti. Il suo, però, è stato solo un atto di protesta, né avrebbe potuto essere altro. Oggi tanti autorevoli storici italiani chiedono a Marini e a Bertinotti di fare qualcosa di più e in positivo. E’ un’occasione, piccola ma importante, per reagire contro chi, sempre più spesso, mette il Parlamento con le spalle al muro. Presidenti, non lasciatevela scappare.

da Il Giornale