Un solo Csm per giudici e pm, ma meno correnti e più "laici"
Della “Bozza Alfano” sulla riforma della giustizia si leggono molte cose sui giornali. Essa viene presentata talvolta come un documento approfondito e pressoché definitivo, in cui si delineano soluzioni precise, talaltra come un elenco di questioni da affrontare, eventualmente con l’indicazione di più soluzioni alternative
Nell’incertezza, fioriscono così ipotesi un poco fantasiose, come l’estrazione a sorte dei magistrati da inviare al C.S.M., nell’ambito di un elenco deciso dal Parlamento, oppure come l’elezione a suffragio universale dei vertici del pubblico ministero, sul modello americano. Come si diceva, ipotesi un poco eccentriche, certo culturalmente interessanti (soprattutto la seconda), ma prive di reale praticabilità politica e più adatte a un convegno accademico sulla giustizia.
Restano i nodi reali e su quelli si attendono le risposte.
Per ragioni di metodo e di ordine, vorrei qui occuparmi solo di una delle tante questioni sul tappeto, ovvero la riforma costituzionale del C.S.M.
La prima questione è questa: creare due organi distinti o un unico organo diviso in due sezioni? La seconda: come comporre i due organi o l’organo diviso in due sezioni?
Personalmente non ho certezze e ho spesso perorato la creazione di due organi distinti. Attualmente, credo sia però giusto tener conto del fatto che la proliferazione degli organi costituzionali (o di livello costituzionale) forse non è una buona cosa in sé. Inoltre, non saprei dire come potrebbe evolvere, nella prassi costituzionale, un C.S.M. dei pubblici ministeri autonomo e lasciato a sé stesso. Il problema non è tanto che i pubblici ministeri, e il loro organo di riferimento, finiscano per trovarsi sotto l’orbita del potere esecutivo: ciò rientrerebbe coerentemente in un panorama di riforme più ampie, che coinvolgerebbe anche il principio di obbligatorietà dell’azione penale.
Siccome però non sembra questo il punto d’approdo voluto, ci si deve chiedere che ne sarebbe di un C.S.M. dei pubblici ministeri lasciato a sé medesimo: non ha un che d’inquietante l’idea di trovarci fra qualche anno con una potente “procuratura” che gestisce (non solo la carriera burocratica ma anche) la forza “istituzionale” dei titolari del potere d’accusa? Nel Paese delle supplenze e della debolezza della politica, forse non è l’innovazione di cui abbiamo bisogno.
Per questo, personalmente credo più opportuno immaginare un C.S.M. unico, presieduto dal Presidente della Repubblica, ma distinto in due sezioni separate, una per i giudici e una per i p.m. Questa architettura costituzionale potrebbe “coprire” scelte legislative ordinarie anche radicali, che introducano, nel diritto e nello stesso costume giudiziario del nostro Paese, forme reali di separazione delle carriere.
Quanto alla composizione e agli assetti interni di ciascuna delle due sezioni, bisogna partire da una premessa, condivisa da molti. La maggioranza attribuita ai membri togati, a causa del ruolo e della forza pervasiva delle correnti dell’A.N.M., ha finito per trasformare l’organo in un “Parlamentino” talvolta petulante e molto corporativo; un organo che non si limita a svolgere le funzioni che Costituzione e legge gli attribuiscono ma che dietro il riparo della “tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura” svolge improprie funzioni di indirizzo “oppositivo”, spesso in consapevole e cercato contrasto con gli organi politici.
La soluzione riformatrice che si ode proporre corre lungo due direttrici: per alcuni, è opportuno rovesciare le percentuali attualmente previste (due terzi dei componenti sono magistrati eletti dagli stessi magistrati, un terzo sono tecnici del diritto di elezione parlamentare) dando così la maggioranza ai membri “laici”; per altri, si tratterebbe di consentire che un terzo dei componenti sia nominato dal Presidente della Repubblica fra professori e avvocati (oltre a un terzo di derivazione giudiziaria e a un terzo di elezione parlamentare), raggiungendosi anche così il risultato di lasciare i membri “togati” in minoranza.
Condivido l’idea del rovesciamento delle maggioranze, con due avvertenze. La prima: l’ipotesi di far nominare un terzo dei componenti della sezione dal Capo dello Stato pone in questione proprio il ruolo del Presidente della Repubblica, dato che è difficilmente immaginabile che colui che resterebbe Presidente del C.S.M. possa contemporaneamente scegliere un terzo dei membri dell’organo, costruendosi così un “gruppo interno” di suoi “devoti” (che devono a lui la nomina).
La seconda: non bisogna trascurare la facile obiezione, ormai molto utilizzata, per cui può sembrare un paradosso “spoliticizzare” il C.S.M. attraverso l’aumento dei membri di nomina parlamentare. Ammesso comunque un ruolo preponderante del Parlamento in seduta comune nella selezione dei componenti, è necessario prevedere cautele che scongiurino rischi di politicizzazione di “ritorno”: fra queste, maggioranze qualificate e sistemi di selezione delle candidature che rendano realmente di alto profilo i requisiti dei tecnici (professori e avvocati) da eleggere.
(L’Occidentale)