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La mappa delle persecuzioni. In Giordania i cristiani sono il 4% della popolazione (tra 250 e 150 mila su 5 milioni e 600 mila abitanti), in Libano sono scesi intorno al 30% (1 milione e 170 mila su 3 milioni e 900 mila), in Siria ed Egitto il 10% (rispettivamente 1milione e 850 mila su 19 milioni e 9 milioni su 81 milioni), mentre in Iraq prima della guerra erano il 3%, ora nessuno può saperlo con certezza. Nel 2007 i cristiani in Israele erano il 2% della popolazione, 147 mila su 7 milioni e 337 mila. Nel 2009 nel mondo sono morti 30 sacerdoti, 2 seminaristi e 3 volontari laici, il doppio rispetto al 2008, il numero più alto registrato negli ultimi 10 anni.

Le violenze più grandi sono rilevate in Asia. In tutto è stato calcolato che i cristiani d’Oriente siano 200 milioni, ma molti vivono nascosti, ad esempio in Vietnam, dove i cristiani cattolici, nelle zone rurali e montagnose, vengono minacciati di essere imprigionati se scoperti a celebrare messa. Negli anni Settanta i cristiani vietnamiti erano all’incirca due milioni e mezzo, ora si sono ridotti a circa 700-800 mila. La situazione è grave anche nelle zone calde del Medio Oriente e in Terrasanta. Meno di un secolo fa, i cristiani erano il 9,6% della popolazione residente tra il Giordano e il Mediterraneo. Oggi sono meno del 2%, cioè all’incirca 180 mila. Di questi 130 mila risiedono in Israele e 50 mila nei territori palestinesi. La maggior parte dei cristiani israeliani vive nei centri urbani e appartiene alle confessioni greco-ortodossa, greco-cattolica, maronita, armena e protestante. Il governo israeliano frappone molti ostacoli al rilascio di visti dei religiosi stranieri inviati sul territorio. La situazione non va meglio nei territori palestinesi in cui si afferma sempre di più il fondamentalismo islamico, che costringe molti cristiani ad emigrare. Dalla prima guerra arabo-israeliana sono fuggiti dai territori palestinesi centinaia di migliaia di cristiani e la comunità locale si è fortemente indebolita. “La scomparsa di queste comunità riduce la speranza che si stabiliscano nella regione i valori di una società aperta, pluralista e civile. L’elemento cristiano è, infatti, tra i pochi a favorire e garantire principi di moderazione nello scontro politico-religioso che dilania la regione. Il suo ridimensionamento è una perdita per il processo di pace.”

Oltre il Giordano, invece, risiedono tra 130 e 150 mila cristiani. Il 2% della popolazione cristiana vive per lo più nelle città della Giordania. La situazione dei cristiani in queste zone è apparentemente stabile perché gli è garantita la libertà di culto, ma in questo caso a diventare problematica è la frammentazione delle tante piccole comunità e confessioni nel Paese, che li rende vulnerabili agli occhi dei fondamentalisti islamici. Gli Hashemiti vigilano sul rispetto della libertà religiosa e a livello istituzionale è garantita ai cristiani una rappresentanza al Parlamento, ma anche in Giordania sono i tassi demografici a preoccupare. Negli anni Quaranta i cristiani erano 25 mila. Negli anni Settanta divennero 160 mila con l’arrivo dei rifugiati cristiani dalla Palestina. Da allora, l’emorragia demografica è stata costante.

La situazione riguardo la rappresentanza nelle istituzioni è completamente diversa in Libano: “Il sistema confessionale in vigore nel Paese dei Cedri prevede, oltre alla ripartizione delle cariche istituzionali più importanti dello Stato tra le principali confessioni religiose (presidente della Repubblica maronita, premier sunnita, presidente del parlamento sciita), anche una ripartizione dei seggi parlamentari e delle cariche ministeriali divise equamente tra cristiani e musulmani.”. I maroniti sono la maggior parte dei cattolici, mentre i cristiani in generale rappresentano il 40% della popolazione libanese (erano il 55% fino a sessant’anni fa). Da un punto di vista della rappresentanza istituzionale godono di un buon margine di libertà d’azione, ma nonostante il Libano sia spesso presentato come un modello di convivenza e dialogo tra Islam e cristianesimo anche in questo Paese di recente si sono registrati degli episodi di persecuzione religiosa.

In Siria la popolazione cristiana è di un milione di persone. “Il carattere laico del regime baathista assicura ai cristiani un trattamento tendenzialmente egualitario”, e le comunità cristiane sembrano relativamente libere di professare la propria fede, mentre il governo si fa garante dei loro diritti anche nei confronti dei fondamentalisti. Ma anche in Siria si sta registrando un forte calo demografico, soprattutto tra i giovani cristiani. Dal 1958 sarebbero almeno 250 mila i cristiani che hanno lasciato la Siria. Anche qui la fede cristiana è multiforme, greco-ortodossi, melchiti e armeni gregoriani, e preponderante nelle zone rurali. Non sentendosi integrati nelle grandi città, i cristiani tendono a spostarsi verso le campagne, un’altra causa del loro lento scomparire.

Il numero dei cristiani egiziani non è certo. Le statistiche ufficiali parlano di 4 milioni, mentre i dati della Chiesa locale di oltre 12 milioni. Sono per lo più copti ortodossi, guidati dal patriarca Schenuda III. I cristiani hanno partecipato alla modernizzazione dell’Egitto ma sono privati di molti diritti fondamentali come la libertà di culto. Attivi dal punto di vista economico non hanno praticamente voce in capitolo in materia politica e non hanno mai fondato un partito. Da quando sono finiti nel mirino dei musulmani radicali, la convivenza è divenuta davvero difficile: anche il semplice restauro o la costruzione di una chiesa prevede un lungo iter burocratico. Fosse questo, il problema: gli episodi di violenza registrati nei mesi scorsi (il 24 novembre 2010, 2 copti sono stati uccisi e altri 150 arrestati), le chiese bruciate, sono il segno di uno scontro confessionale destinato a inasprirsi se ad andare al potere in Egitto saranno i Fratelli Musulmani.

Agli inizi del Novecento i cristiani erano un quarto della popolazione dell’Anatolia, due milioni di persone. Oggi sono appena 115 mila. In Turchia risiedono per lo più armeni e cattolici. “Due eventi drammatici hanno completamente sradicato le due maggiori comunità cristiane dell’ex impero Ottomano. Il primo è il genocidio degli armeni deciso a tavolino dal governo dei Giovani Turchi: almeno 700mila vittime senza contare i deportati morti di stenti nel deserto siriano. Il secondo è lo scambio tra popolazioni ‘greche’ e ‘turche’ sancito dal Trattato di Losanna del 1923.” Scomparsi i cristiani sono scomparsi ospedali, ospizi, scuole e tutte le altre istituzioni benefiche gestite dalla Chiesa. Lo stato impone restrizioni sul diritto di proprietà delle fondazioni, gravami economici e ha chiuso d’ufficio il seminario ortodosso (così non ci sono più ricambi nel clero). Inoltre la Chiesa non ha ancora uno statuto che ne garantisca l’esistenza legale e giuridica, perciò la proprietà di tutti i suoi beni viene continuamente contestata. Le migrazioni dei cristiani, in uno stato che si dichiara laico, aumentano.

In Iraq i cristiani sono come una specie a rischio di estinzione. E a tutelarli non c’è nessuno. Gli eccidi ci sono sempre stati, ma oggi l’entità dell’esodo dei fedeli è drammatico. “I cristiani iracheni (per due terzi caldei, seguiti da assiri, siro-cattolici, siro-ortodossi, armeni e latini) rappresentavano sino al 2003 circa 700 mila persone, ossia il 3 per cento dell’intera popolazione irachena. Stime prudenti ritengono che oltre la metà abbiano lasciato il Paese a causa dell’insicurezza e delle violenze di cui sono vittime: oltre 2.000 cristiani uccisi negli ultimi sette anni.”  I restanti vivono a Nord, nella Piana di Ninive, all’interno della quale si stanno rifugiando. Anche qui, però, si sono registrati episodi di violenza. Molti cristiani iracheni sono emigrati: solo tra Chicago e Detroit se ne contano circa 150 mila. Il prezioso patrimonio storico di cui queste comunità sono depositarie rischia di disperdersi con loro.

L’escalation numerica degli eccidi. L’escalation di violenze è stata registrata con l’approssimarsi del Natale scorso. Il primo cruento episodio si è avuto il 31 ottobre 2010 a Baghdad con l’attacco alla cattedrale cristiana in cui hanno perso la vita 55 persone e oltre 70 sono rimaste ferite. Con l’avvicinarsi del Natale, la festività religiosa cristiana per antonomasia, le violenze sono aumentate anche nelle Filippine, in Nigeria e in Pakistan. Il giorno di Capodanno ad Alessandria un’autobomba è esplosa davanti ad una chiesa copta (21 morti e 8 feriti). Il 6 gennaio, sempre a Baghdad, un’autobomba è stata spedita contro la chiesa caldea. Il 7 gennaio in Malaysia sono stati compiuti attacchi contro tre chiese protestanti ed una cattolica. L’estate precedente altre violenze erano state registrate in India, mentre a giugno il vescovo Luigi Padovese era stato assassinato in Turchia.

Un quadro della situazione lo traccia ogni anno il “Rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Queste le conclusioni a cui i rilevatori sono arrivati nel 2010:

“Se l’India e la Cina, per le loro proporzioni, sono i Paesi in cui si registrano più casi di aggressione e vessazione delle minoranze, al centro dei riflettori [si trova] anche il Pakistan, dove la situazione è estremamente delicata in particolare a causa della legge antiblasfemia che  dal 1986 ad oggi ha causato l’incriminazione di 993 persone con l’accusa di avere profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto: di queste, 479 erano musulmani, 340 ahmadi – una setta che il governo non riconosce come musulmana – 120 cristiani, 14 indù e 10 di altre religioni.
Il Rapporto delinea una situazione grave in molte parti del pianeta. Sebbene si tratti di una meta turistica internazionale, in Egitto anche nel 2009-2010 vi sono stati numerosi atti di violenza, e non soltanto nei confronti dei cristiani. Assai più grave la situazione in Eritrea dove il Governo continua a perseguitare, arrestare e imprigionare molti appartenenti a gruppi religiosi non riconosciuti. Attualmente, sono circa 2.200 coloro che sono in carcere per motivi religiosi; tra di essi ci sono 40 leader e pastori di Chiese pentecostali, mentre sarebbero 13 i cristiani deceduti in prigionia. Il Libano costituisce un caso esemplare di difficoltà poste per lasciar entrare in un Paese personale religioso proveniente dall’estero; ancora per quanto riguarda l’area medio-orientale, si fa grave la situazione dei cristiani a Gaza, territorio controllato da Hamas dove si registrano episodi di esplicita persecuzione. Da tempo priva di un governo centrale in grado di esercitare il potere politico su tutto il territorio nazionale, il 18 aprile 2009 la Somalia ha approvato in Parlamento una legislazione per l’applicazione della sharia su tutto il territorio del Paese. La pratica di religioni diverse dall’Islam provoca reazioni intolleranti in tutto il territorio somalo e le conversioni sono scoraggiate da forme di ostracismo e grave emarginazione sociale. Anche in India si continua a registrare un forte aumento delle violenze su base religiosa ed etnica e il 2009 ne è stata l’ennesima prova. Ma sicuramente tra i Paesi nei quali la libertà religiosa è negata in ogni suo aspetto – e le informazioni disponibili circa ciò che accade nel Paese sono scarse e difficilmente reperibili – vi è la Cina.  Lo Stato si proclama ufficialmente ateo e reprime ogni forma di religiosità con arresti e detenzioni in campi di concentramento. Tra gli arresti più eccellenti da segnalare quello di monsignor Giulio Jia Zhiguo, vescovo sotterraneo di Zhengding (Habei), avvenuto il 30 marzo scorso per mano di cinque poliziotti. Estremamente grave è la situazione anche in Nigeria, dove ACS ha denunciato l’uccisione di 48 cristiani, fra i quali due pastori e l’assalto a 11 edifici di culto.”

Letture:
Camille Eid, “Dalla Terrasanta all’Iraq, cento anni di violenze”, Orientecristiano.com, 20 dicembre 2010.