Considerazioni sul porto turistico a Bari
Ci risiamo: si parla di porto turistico a Bari e si scatena la polemica.
E’ certo che la realizzazione di un porto turistico in area urbana crea problemi di non facile soluzione, ma è altrettanto vero che in molti casi i porti turistici hanno contribuito alla riqualificazione di aree sottoutilizzate ed alla creazione di un’economia indotta certamente non trascurabile.
Ciò che maggiormente rammarica nelle polemiche riportate dalla stampa è che il problema venga affrontato da punti di vista errati o parziali e, a volte, in modo ideologico non consono alla ricerca di valide soluzioni a problemi di natura tecnica.
E’ evidente come molto spesso, dietro critiche sulla compatibilità ambientale ovvero sulla sostenibilità finanziaria, si celi la convinzione che un porto turistico a Bari sia inutile o ridondante. Quindi, prima di entrare nel merito delle criticità della proposta comunale, occorre sgombrare il campo da pregiudizi di natura ideologica per comprendere se le critiche rispondano a motivazioni reali, o nascondano semplicemente l’intento di ostacolare la realizzazione di un porto turistico; insomma, occorre rispondere ad un quesito molto semplice: i baresi vogliono un porto turistico o no? Troppo spesso, infatti, le soluzioni proposte sono state bocciate senza neanche capire il perché (p. es. potenziamento dei porti delle frazioni, Porto Verde, ecc.).
Per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, si osserva che l’utilità di un porto turistico a Bari è innegabile, sia dal punto di vista economico che da quello culturale. Non si può fare a meno di rilevare che lo sviluppo urbano della città, negli ultimi decenni, abbia puntato sempre più sull’entroterra, facendo perdere a Bari il suo legame naturale con la fascia costiera ed indebolendo il tradizionale rapporto (economico e culturale) con il mare.
Certo non è possibile affermare che un recupero di questo rapporto passi essenzialmente dalla costruzione di un nuovo porto turistico, ma è altrettanto vero che, nell’ambito di un piano di rilancio della fascia costiera, una simile struttura riveste un ruolo essenziale. Ciò che purtroppo è mancato a Bari è un piano di rilancio della fascia costiera, estesa da S. Spirito a Torre a Mare, con visione d’insieme.
E’ vero che negli anni sono stati proposti molti interventi di riqualificazione, alcuni importanti (Pane e Pomodoro, Torre Quetta, S. Girolamo, ecc.), ed altri di portata più limitata (fontane, sistemazione del lungomare della Provincia con panchine vista mare, ecc.), ma tutti a carattere puntuale e senza alcuna strategia complessiva.
Gli interventi realizzati o in fase di realizzazione vanno certamente ascritti a merito delle Amministrazioni che li hanno proposti, ma non sono in grado di riqualificare la fascia litoranea nel suo complesso, perché privi di un disegno complessivo della fascia costiera e di un’idea precisa delle funzioni che si vogliono assegnare al porto e, in altre parole, di una strategia complessiva in grado di condizionare le scelte future, senza affidarle al caso ed all’improvvisazione.
La definizione di questa strategia scaturisce da volontà politiche che interpretino i desideri e le aspirazioni dei cittadini e da un’analisi tecnica che ne valuti la compatibilità e che individui gli strumenti più idonei per la sua attuazione.
In ogni caso, si deve avere consapevolezza che la scelta del modello di sviluppo comporterà profonde trasformazioni al territorio che, necessariamente, influenzeranno irreversibilmente l’assetto futuro della città, poiché è impensabile che ogni cambio di amministrazione possa rimettere in discussione le scelte di fondo, condannando Bari ad uno sviluppo senza strategie, il cui esito è imprevedibile e potrebbe comportare l’abbandono e il degrado, ovvero il trionfo di un’urbanizzazione selvaggia.
Ferma restando l’esigenza di una strategia complessiva, i segnali che suggeriscono l’opportunità di realizzare un porto turistico a Bari sono numerosi. Le soluzioni sul tappeto sono diverse e quella maggiormente accreditata, almeno stando alle notizie di stampa, è quella dell’adeguamento del porto vecchio. Le rappresentazioni grafiche riportate dai giornali mostrano una soluzione gradevole agli occhi ed apparentemente compatibile con l’assetto urbano (ma si è mai visto un rendering progettuale che dia una cattiva immagine delle opere da realizzare?).
I detrattori dell’idea progettuale ne contestano la sostenibilità ambientale, dal momento che l’innalzamento della barriera frangiflutti, necessario per realizzare il molo di levante, costituirebbe una saracinesca per la città, interrompendo parzialmente la visuale dell’orizzonte.
A tale critica si può facilmente rispondere che, se è vero che la visuale risulterebbe interdetta solo ad un piccolo tratto del Lungomare, peraltro sostituito con la passeggiata a mare sul molo di levante, è altrettanto vero che qualsiasi soluzione si adotti produrrà gli stessi effetti, giacché le opere foranee produrranno impatto paesaggistico (basti osservare gli effetti del Barion, de molo S. Antonio, del Porto Borbonico, ecc.). Pertanto, se si ritiene inammissibile l’interruzione dell’Orizzonte, non si sta criticando una specifica soluzione, ma si mette in discussione l’idea stessa di un porto turistico.
Si deve inoltre osservare come l’impatto paesaggistico è sì un aspetto importante, ma non certo il più importante ai fini della valutazione della compatibilità ambientale. Ben altri sono gli elementi da considerare, che producono effetti spesso irreversibili. Inoltre, non sempre l’architettura impatta negativamente sul paesaggio, anzi, un’opera ben progettata può migliorare il paesaggio, specie se in presenza di un’area degradata.
E’ allora utile soffermarsi su altri aspetti importanti connessi con la realizzazione di porto turistico.
Innanzitutto il maggior carico di traffico che si realizzerebbe sul lungomare a seguito della realizzazione di 300 – 400 posti barca. Dove trovare i parcheggi necessari a servizio del porto? Si prevede la simultanea realizzazione di un parcheggio sotterraneo adiacente? Personalmente ritengo che tale aspetto sia stato trascurato in questa fase dello studio. Così come non sembra abbastanza approfondita l’analisi dei servizi necessari per far decollare un’iniziativa così importante. Il progetto, infatti, prevede la realizzazione di alcuni locali sul molo di levante, ma, a parere del sottoscritto, la cubatura realizzabile è appena sufficiente per depositi di attrezzature nautiche e non certo per ospitare i servizi indispensabili a rendere gradevole la vita di un porto (circoli nautici, locali commerciali, comando del porto, servizi igienici, ecc.). A tal proposito, basti pensare che la normativa regionale in tema di servizi igienici nei porti è piuttosto severa e sarebbe interessante verificare se, in fase di progettazione preliminare, se ne è tenuto conto.
E’ facile obiettare che in fase di progettazione preliminare non è necessario tener conto di questi dettagli. Si può certo condividere questa osservazione, ma solo nel caso in cui la disponibilità di spazi a terra sia talmente ampia da consentire, in fase di progettazione esecutiva, una diversa distribuzione della cubatura, per tener conto di tutte le esigenze normative. Nel caso in esame, il progetto deve scontare l’assoluta mancanza di spazi a terra ed è quindi opportuno che tutto venga previsto già in fase di avvio della progettazione.
La questione degli spazi a terra, è di vitale importanza per il successo di un porto turistico: da essa dipende la sostenibilità finanziaria dell’intervento, la possibilità di attuare politiche gestionali idonee anche ai fini ambientali e, infine, l’attrattività del porto e quindi il suo inserimento nel tessuto sociale ed urbano circostante. In definitiva, se non si cura con particolare attenzione la sistemazione degli spazi a terra e se non si dispone di una cubatura sufficiente a costituire massa critica, si rischia di realizzare un parcheggio per barche piuttosto che un porto turistico.
Dal punto di vista finanziario, si deve considerare che un porto con 300 – 400 posti barca difficilmente è sostenibile, a meno che il target di riferimento non sia particolarmente selezionato ed in grado di pagare prezzi elevati per l’ormeggio, ovvero si riducano all’essenziale i servizi accessori, con grave pregiudizio per la funzionalità. Ciò che invece consente il successo finanziario di un porto turistico è la redditività degli spazi a terra. Ciò significa che, se vi sono le condizioni per realizzare locali limitrofi al porto, si potrà pretendere dal gestore del porto che i ricavi vengano utilizzati per garantire una gestione tesa alla massima efficienza, sicurezza e rispetto dell’ambiente. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante. Infatti, piuttosto che affidarsi a generiche affermazioni sulla compatibilità ambientale, è necessario prevedere che il porto turistico, ovunque si realizzi, disponga degli strumenti necessari per acquisire e conservare una certificazione ambientale specifica. A tal fine si deve prevedere un costo di gestione non del tutto trascurabile e strutture idonee a garantire la continuità del servizio (p. es. raccolta differenziata, ottimizzazione dei consumi, isole ecologiche, azioni di monitoraggio, ecc.).
Come è possibile sostenere questi costi in assenza di adeguati spazi tecnici e di un’adeguata redditività?
Dunque sostenibilità finanziaria ed ambientale devono andare di pari passo e sposano in pieno l’esigenza di attrattività del porto. Infatti, il successo di un porto (inteso come insieme di spazi a terra ed a mare) è legato al numero di utenti che lo utilizzano e limitarne l’utilizzo ai soli possessori di barca è certamente poco produttivo. Per tale ragione un porto turistico deve necessariamente essere in grado di sviluppare sinergie con il territorio adiacente e considerare un bacino di utenza ben più ampio di quello garantito dall’utenza nautica.
Un altro aspetto non trascurabile, riguarda la capacità di un porto di ampliare il bacino di utenza, considerando presenze extraterritoriali. L’assenza di isole o di località litoranee in grado di rappresentare mete accreditate per il turismo nautico può essere compensata da condizioni di vantaggio per lo stazionamento ed il transito delle imbarcazioni, che si traducono in completezza dei servizi, sicurezza (intesa sia come “safety” che come “security”) all’ormeggio e facile accessibilità. Da questo punto di vista, la portualità turistica pugliese sconta ritardi gravissimi, se si pensa che già ai tempi di Tito, la Jugoslavia si era dotato di una serie di marina assai frequentati da imbarcazioni battenti le più disparate bandiere europee e mondiali. Non si trattava ovviamente di presenze occasionali, bensì di armatori che trovavano convenienza ad utilizzare i porti croati come base di stazionamento per le loro imbarcazioni, nonostante i limiti di viabilità e di accesso. La nostra Regione dispone di un sistema di trasporti decisamente più avanzato dei paesi dell’altra sponda Adriatica, eppure non riesce ad esercitare analogo richiamo, per ragioni facilmente comprensibili: dove sono i marina attrezzati? dove sono i porti sicuri dal punto di vista della navigazione e dell’ormeggio? chi garantisce dai furti un imbarcazione ormeggiata in un porto pugliese?
Dal punto di vista nautico, le precedenti considerazioni sarebbero di per sé sufficienti a tracciare un giudizio non preconcetto sull’utilità o meno del porto turistico a Bari e per dirimere la questione sulla più corretta localizzazione.
Pare comunque opportuno, in conclusione, riprendere un concetto già introdotto all’inizio di questo contributo: l’esigenza di uno sviluppo strategico del litorale barese, che non passa attraverso una serie di interventi spot difficilmente ricollegabili fra loro, bensì da una visione chiara e preventiva sulla destinazione e sulle funzioni da assegnare all’intera fascia costiera estesa per circa 40 km. I baresi, ad esempio, non hanno ancora compreso se il lungomare, in prospettiva, deve essere considerato un’arteria di scorrimento cittadino oppure una passeggiata pedonale; e ancora, se la fascia costiera (specie fra Bari e S. Giorgio) è destinata allo sviluppo residenziale o esclusivamente ad area di balneazione; se la sostenibilità delle aree attrezzate deve essere garantita da risorse pubbliche (per quanti anni ancora l’Amministrazione sarà in grado di reggere il parco di Punta Perotti ed a vantaggio di chi?), oppure deve essere stimolo per interventi privati.
Solo se si risponde a questi quesiti sarà possibile avviare un dibattito sereno sull’utilità di un porto turistico e, soprattutto, sarà possibile pensare ad un porto dei Baresi, per i Baresi e per tutti coloro che vorranno onorare la nostra città con una presenza più stabile, rispettoso dell’ambiente e prezioso volano di economia.