Considerazioni sul ruolo e sulla formazione degli insegnanti nella gestione di casi difficili
Nel progetto realizzato all’Aquila dall’istituto di Ortofonologia diretto e coordinato dal dottor Bianchi di Castelbianco e dalla dott.ssa Magda Di Renzo troviamo la testimonianza che la scuola può essere il luogo dove i saperi divengono strumento per ritornare alla vita se veicolati con amore, empatia e consapevolezza; capacità che hanno messo in gioco le insegnanti dell’aquila aiutate dagli psicologi per recuperare attraverso se stesse i propri alunni. E’ infatti grazie a loro se l’equipe degli psicologi e pedagogisti dell’Ido è riuscita a lavorare e a portare a termine il lavoro con risultati più che soddisfacenti. Questo lavoro di interdisciplinarità ci fa fare più riflessioni sul ruolo delle insegnanti ed in particolare su quelli della scuola primaria che è il primo luogo di accoglienza per i ragazzi dopo la famiglia.
Le insegnanti elementari hanno dimostrato una notevole capacità di accoglienza e di trasformazione. Hanno permesso che il lavoro dell’ equipe potesse essere accettato senza pregiudizi da genitori ed alunni avallando e amplificando la loro azione. Permettendo così sia a se stesse che ai ragazzi di poter allargare ed approfondire lo sguardo sul loro dolore per elaborarlo. Hanno affrontato le proprie emozioni per poter ritrovare le abilità educative fondamentali alla rinascita dei ragazzi.
La scuola in tal modo ha potenziato la sua azione educativa e la sua essenziale presenza su un territorio distrutto e da ripensare. Scuola come salvezza, come porto, dove i bambini hanno potuto ritrovare un senso, riannodare il filo della loro esistenza. Hanno compiuto ogni giorno quelle azioni che danno senso all’esistere. Attraverso l’azione, attraverso il fare, il pensare insieme, hanno percepito di poter sperimentare di nuovo la vita.
Questo intervento sottolinea l’importanza dell’azione educativa che si esprime nelle scuole e che non deve mai essere dimenticata e depotenziata. Bisogna credere sempre di più nel ruolo significativo e formativo della scuola soprattutto in questo momento storico in cui la crisi educativa e familiare è sotto gli occhi di tutti. La scuola può e deve a mio avviso raccogliere le sfide come ha fatto in questo caso ed essere presente al fianco dei ragazzi e dei genitori.
L’aver saputo lavorare in squadra con altri professionisti, con competenze differenti, fa capire come le insegnanti abbiano dimostrato elasticità e capacità nell’essere aperte al nuovo, nel saper fare gruppo e nel saper tenere un passo diverso lì dove c’era da fare un intervento differente. Le insegnanti hanno saputo favorire questi incontri in modo attento e consapevole. Hanno dato autorevolezza agli psicologi entrando nel loro mondo e non opponendo una diffidenza legata alle diverse competenze e ai diversi ruoli come a volte accade. Non è facile lavorare insieme e non facile essere “guardati fare” il proprio lavoro in particolare quando esso è un lavoro di relazione in un contesto di trauma e di lutto.
Questa esperienza mi dà l’occasione per poter mettere in evidenza l’importanza della formazione degli insegnanti. In una società in continua trasformazione e con ragazzi iper-stimolati ed informati come sono i nostri alunni, ma contestualmente soli e poco maturi dal punto di vista emotivo, il ruolo delle insegnanti diviene più complesso e difficile.
L’insegnante di oggi si trova a dover sostituire la famiglia che non c’è. I genitori sono più impegnati, i nuclei familiari più piccoli e ripiegati su se stessi non c’è più un gruppo allargato di adulti che accoglie e vigila sui nostri bambini troppo spesso soli. Questa solitudine nelle case vuote è pesante e noi sappiamo quanto questo abbia facilitato il rivolgersi “alla rete” dove i ragazzi trovano tutto: informazioni, amici, contatti e stimoli non sempre positivi. Questi nuovi alunni, informati- che hanno libertà ed accesso a qualunque notizia- scontano una forte competenza cognitiva a cui il più delle volte non corrisponde un’adeguata competenza emotiva. Questo analfabetismo emotivo da luogo a difficoltà relazionali e comportamentali. Ragazzi soli e più aggressivi che non avendo regole e limiti si sentono indifesi e non contenuti da una società di adulti distratti e poco generosi che non hanno molta voglia di assumersi il compito ed il rischio educativo. Questo compito spesso e volentieri ricade sulla scuola, sulle insegnanti, che si ritrovano ad interagire con bambini e ragazzi difficili- anche perché privi di guide autorevoli- iperprotetti e viziati ma contestualmente soli con le loro paure e domande. Ragazzi che si annoiano facilmente che non sanno concentrarsi, che vorrebbero passare da un contenuto all’altro velocemente e che vorrebbero trovare magari fra i banchi quell’affetto e quell’ attenzione che non andrebbero così fortemente cercati nella scuola.
Di fronte a questa realtà le insegnanti si trovano a dover affrontare problemi e argomenti che non sono solo strettamente didattici con ragazzi in continuo mutamento. E’ molto difficile interessarli e motivarli ed essere riconosciuti come figure autorevoli e significative. Bisogna trovare nuovi codici.
Come è accaduto in questo progetto, le insegnanti hanno dovuto attingere a competenze diverse hanno dovuto far proprie modalità che favorivano maggiormente e con più consapevolezza la relazione con i propri alunni. Attraverso l’ascolto e l’empatia sono riuscite a veicolare, in seguito, anche gli apprendimenti, anche li dove sembrava non esserci più posto.
A volte anche con ragazzi disabili, aggressivi o con problemi di apprendimento sembra che il contenuto disciplinare impallidisca non abbia più senso di esistere in mezzo a tanto disagio e dolore. Allora è proprio in quei momenti che l’insegnante ha bisogno di far ricorso a tutte le sue risorse più profonde. Ma non basta, deve avere la possibilità come è stato in questo caso di poter acquisire delle competenze, di poter utilizzare delle tecniche differenti che non appartengono al suo lavoro, ma che lo potenziano. Che possono aiutarla a dare un senso nuovo, a ricontestualizzare i contenuti disciplinari anche nella situazione più dura dove sembra non esserci più posto per nulla.
In questo progetto che è paradigmatico al nostro discorso, ecco che l’evento, il vissuto, la tragedia possono essere accolti elaborati e divenire disciplina di studio, lavoro, che riporta alla vita che ridà senso, che fa immaginare un seguito. Quando i ragazzi hanno lavorato nei laboratori e sono riusciti a riscrivere, a raccontare, hanno ritrovato le loro capacità poiché hanno potuto esprimere ed elaborare la rabbia, la tristezza, il dolore.
Questa è stata la sfida educativa, psicologi, pedagogisti e insegnanti insieme. Il lavoro dei primi ha permesso alle insegnanti di ritrovare le capacità e le risorse per far di nuovo il proprio lavoro in un contesto fortemente mutato e difficile.
Ho realizzato diversi lavori con insegnanti di ragazzi in difficoltà, l’aver fornito loro una metodologia di lavoro che favoriva la relazione, i rapporti, e la crescita personale, permetteva ai ragazzi di essere nuovamente interessati alle discipline scolastiche che venivano vissute in modo diverso.
In quei casi si riusciva a fare dei veri miracoli, ragazzi che si rifiutavano di lavorare, di scrivere, di studiare perché sopraffatti dal loro dolore riuscivano di nuovo a ritrovare piacere e senso nello studio di una materia, nella lettura di un brano poiché erano riusciti a elaborare e dare un nome alle loro tragedie personali e a dare di nuovo significato alla loro vita, a riscriverla.
Se si riesce a far elaborare un vissuto doloroso, quel dolore può trasformarsi in atto creativo. Ma ciò è possibile solo se si è aiutati come è accaduto per le maestre e i bambini. Gli psicologi hanno insegnato alle maestre una strada e le maestre hanno riempito quella strada insieme ai loro alunni con nuove storie e nuovi saperi. Condivido pienamente i contenuti e le modalità operative del progetto anche perché le ho sperimentate personalmente con ragazzi disagiati e insegnanti alle prese con classi difficili. Sia nell’uno che nell’altro caso la formazione delle insegnanti partita da un’analisi dei loro bisogni, era essenziale poiché le maestre e i professori avevano difficoltà a gestire tutto ciò che è parte integrante dell’insegnare ma che diviene più complesso quando l’utenza è in difficoltà. Insegnare una disciplina resta la cosa più semplice se si ha la competenza specifica ma diviene un problema quando non si è in grado di gestire i conflitti con i ragazzi e tra i ragazzi o se si ha disagio ad interagire con le disabilità con il dolore e con le difficoltà emotive e di apprendimento dei propri alunni. Queste difficoltà mettono in discussione la relazione tra docenti e alunni, di conseguenza l’apprendimento e il consolidamento di qualsiasi conoscenza non può realizzarsi dove regna l’ incomprensione e il conflitto.
Ad esempio in un progetto a cui ho lavorato sul recupero di minori entrati nel circuito penale e con “la messa alla prova”da rinserire nella scuola o orientare al lavoro, alcuni insegnanti- anche se molto bravi nelle loro discipline- hanno lasciato l’insegnamento nonostante fossero molto motivati a partecipare al progetto, poiché non riuscivano ad interagire con ragazzi così complessi. La mancanza di formazione psicopedagogica non gli permetteva di stabilire un buon rapporto e di comunicare in modo da essere accettati e ascoltati. Non riuscivano ad avere attenzione e stima dai propri alunni poiché non erano in grado di entrare in relazione in presenza di difficoltà specifiche. Dunque in questi casi fallisce il progetto educativo. Stessa cosa accadeva agli insegnanti in scuole dove c’erano stati episodi di bullismo o dove il rapporto era con ragazzi disabili o con disturbi di apprendimento o per l’inserimento di ragazzi nomadi ed extracomunitari. In tutti questi diversi progetti per arrivare ai ragazzi è stata fondamentale la preparazione degli insegnanti. Potenziare con le differenti tecniche: ascolto empatico, circle time, lavoro con le storie, educazione emotiva, e problem solving, la loro azione educativa, ha significato avere buoni risultati. Tutte queste metodologie sono state attuate dopo aver stabilito con gli insegnanti una significativa relazione attraverso il counseling individuale e di gruppo. Queste tecniche di lavoro dovrebbero essere contemplate nella formazione di tutti i docenti. Essi devono far fronte a situazioni che richiedono una forte consapevolezza del proprio modo di essere. Elemento fondante per poter stabilire relazioni autentiche e significative nelle quali accogliere e gestire le emozioni proprie e dei propri alunni insieme a contenuti più specificamente disciplinari. Saper trovare per ognuno di loro la modalità di insegnamento giusta che consideri le differenze individuali e le diverse modalità di apprendimento è essenziale per far si che ognuno sviluppi un’ autonomia intellettuale e affettiva. Realizzare un lavoro così differenziato e articolato non è certo facile.
La modalità di lavoro rappresentata in questo intervento vorremmo realizzarla in questo nuovo progetto di formazione pensato per gli insegnanti dell’Aquila da proporre nelle diverse scuole. Questa formazione potrà aiutarli a far fronte alla realtà nuova e più complessa con cui si troveranno ad interagire in questi prossimi anni. Il dolore dei più piccoli e i comportamenti devianti degli adolescenti dovranno avere un’accoglienza competente e diversificata che significherà grande fatica per gli insegnanti. Spero che questo progetto pensato come una seconda parte del primo “le 398 meravigliose maestre de l’Aquila” possa divenire inoltre un esempio di buone pratiche e di un’efficace alleanza psicopedagogica che mette insieme i diversi saperi non più divisibili dalle competenze disciplinari in questa società complessa.