Edilizia giudiziaria, rendere definitivo il provvisorio è il modo migliore per non risolvere i problemi
Qualche settimana fa, intervenendo al convegno “Organizzare la giustizia” promosso a Bari dal procuratore Laudati, mi è capitato di utilizzare una metafora per esemplificare l’esigenza che un tema così importante venga sottratto alla contesa politica contingente. A fronte dei gravi mali della giustizia italiana, e delle accese polemiche che si consumano al suo capezzale, mi sono tornate in mente quelle brutte storie di cronaca che narravano di malati abbandonati in sala operatoria con i medici intenti ad azzuffarsi tra loro tutt’intorno.
Calandoci nello specifico, mi pare che l’esempio possa attagliarsi alla perfezione all’infinita querelle sull’edilizia giudiziaria di Bari. In questo caso, infatti, lo stadio della patologia è pressoché terminale: l’edificio che attualmente ospita la giustizia penale è inadeguato e irregolare, e la soluzione-tampone che appare più a portata di mano – un’ottima panacea in attesa di tempi migliori – rischia di rinverdire l’eterno adagio per il quale in Italia non vi è nulla di più definitivo del provvisorio. E di fronte a una situazione che richiederebbe un corale sussulto di responsabilità, la triste impressione è che in sala rianimazione – perché di questo si tratta, inutile dissimulare – qualcuno preferisca ancora giocare partite di altra natura con il rischio di condannare il paziente a morte certa.
I fatti: da Via Nazariantz gli uffici penali dovranno presto fare le valigie. Nell’immediato, fra le diverse opzioni in campo, quella dell’ex Bonomo è stata giudicata dagli addetti ai lavori come la più adeguata. Le superfici realmente utilizzabili dell’ospedale militare sono però tali da non incidere in alcun modo sulla parcellizzazione urbanistica dei diversi uffici giudiziari, da sempre ritenuta dagli operatori una delle principali disfunzioni dell’amministrazione giudiziaria barese: solo la giustizia penale potrebbe essere ospitata dall’ex Bonomo. A breve saremmo dunque punto e a capo. E qualora la permanenza degli uffici penali nella struttura dovesse durare oltre un certo limite, l’adeguamento dell’edificio richiederebbe investimenti tali da porre di fatto i presupposti affinché la soluzione provvisoria finisca per diventare definitiva, quantomeno per giustificare le cifre stanziate.
E’ quantomai urgente, dunque, che nelle more di un trasferimento temporaneo ci si ponga, senza barricate e pregiudizi, nell’ottica di una risposta di lungo periodo a un problema di cui già nei primi anni Duemila autorevoli magistrati baresi poi transitati alla politica ritenevano essere non più rinviabile. La si chiami “cittadella”, la si chiami come si vuole, la si programmi in qualsiasi area della città: ciò che conta è intendersi sui contenuti e mettersi d’accordo sul fatto che non basta sciacquarsi quotidianamente la bocca con il rispetto dei magistrati: chi ha responsabilità pubbliche deve anche adoperarsi affinché quegli stessi magistrati, e con loro i cancellieri, gli avvocati e i tanti operatori della giustizia, siano messi in condizioni di operare al meglio, in una struttura in grado di ospitare in spazi adeguati tutti i settori in cui è articolata l’amministrazione giudiziaria.
Saranno il tempo (auspicabilmente breve) e i pronunciamenti delle autorità competenti a dirci se soluzioni avviate in passato siano giuridicamente praticabili o se si debba immaginare altri percorsi. Ci auguriamo che in quel momento, qualsiasi siano le determinazioni dei collegi chiamati a pronunciarsi, si affermi unanime il principio per il quale le sentenze si rispettano. E invitiamo tutti gli attori istituzionali del territorio, a cominciare da coloro che in città sono investiti delle massime responsabilità, ad astenersi dalle gratuite insinuazioni alle quali abbiamo assistito nelle ultime settimane. Perché le speculazioni senza fondamento durano il tempo di un’intervista, ma se si sceglie di addentrarsi sul terreno dei veleni bisognerebbe prima esser certi di poterselo permettere.
Gaetano Quagliariello, Presidente Onorario Fondazione Magna Carta