04 Ottobre 2011   •  News

Jugoslavia 1991-2011

Redazione

Nei primi anni Novanta, oltre Adriatico, venuta meno la minaccia sovietica, scompariva intanto agli occhi di molti anche la necessaria integrità della Jugoslavia. Quella che nei fatti era stata un cuscinetto geo-strategico: l’antemurale dell’Occidente contro possibili invasioni da Est. Le spinte centripete dei Balcani venivano così interpretate come i conati localistici di una realtà fittizia troppo a lungo annichilita sotto lo stivale del maresciallo Tito. Per altri la secessione di Slovenia e Croazia sembrava invece segnare l’apertura all’indipendenza e all’auto-governo di un mondo soltanto temporaneamente sbiadito nella concezione occidentalista dell’Europa. Sui Balcani ci si affrettò quindi a stendere un “cordone sanitario” composto parimenti da una spregiudicata realpolitik e da speranze liberal-democratiche.

Con la disgregazione della Jugoslavia cominciava tuttavia un lungo processo di destabilizzazione della nostra periferia geopolitica tutt’ora in corso. Insediati su di una faglia della civiltà in equilibrio perennemente precario, gli Slavi del Sud sono ancora ben lungi dall’avere compiuto il proprio comune consolidamento. Se a prima vista sono venute meno le rivendicazioni egemonistiche della Serbia, la Bosnia-Erzegovina esiste in pratica unicamente sulla carta, agitata da diverse correnti etniche, politiche e religiose. Albania e Montenegro fanno i conti con periodiche crisi dove la politica si intreccia senza soluzione di continuità agli interessi di alcuni gruppi spesso legati alla malavita internazionale. La condizione statuale di Kosovo e Macedonia appare tutt’altro che vicina a una soluzione e se Slovenia e Croazia mostrano presentare apparati istituzionali stabili, le loro storiche rivalità sono tutt’altro che estinte. 

Del resto non è forse casuale che si giunga soltanto oggi a discutere di una possibile integrazione fra i Paesi componenti i Balcani occidentali, quando i princìpi di purificazione sono prevalsi riducendo dopo l’ultima guerra – a titolo di esempio – la popolazione serba della Croazia dal 12% al 5%. Anche la Bosnia ha perduto la propria natura multirazziale e pluri-confessionale, tanto che la Republika Srpska è oggi popolata da etnia unica al 90% e la medesima situazione si ripropone per i territori croati e musulmani in eguali proporzioni.

A fronte di comuni accordi di cooperazione e sviluppo e di intese multilaterali – più evidenti all’estero – rimangono in attesa di definitiva risoluzione molti nodi, come le questioni legate ai «beni perduti» periodicamente rivendicati dalla Serbia. Sulla strada che conduce invece all’Unione Europea pesano differenti altre controversie: non ultima quella relativa alla restituzione o all’indennizzo dei patrimoni espropriati agli italiani dopo il Trattato di Parigi da parte della Jugoslavia. In direzione opposta al cammino condiviso vanno le rivendicazioni autonomistiche di alcuni territori, quale il Sangiaccato, oppure quelle delle minoranze, come l’albanese a Tuzi in Montenegro. Permangono le tensioni eterogenee ereditate dall’ultimo conflitto che – sviluppando uno sciovinismo di maniera – prescindono dagli eventi all’interno dei quali si manifesta e hanno dato vita in due occasioni (2007 e 2009) agli scontri tra serbi, bosniaci e croati agli Australian Open di tennis e al vandalismo metropolitano della tifoseria serba a Genova.

A dispetto delle candidature UE e della presenza NATO, pare oggi prevalere negli abitanti di quei territori una sorta di «jugonostalgia» che si esprime soprattutto nella sfiducia verso il cammino europeo e nelle memorie dell’epoca titoista. Malgrado i Balcani sembrino essere divenuti per l’Occidente in certa misura periferici rispetto ad altre realtà, bisogna considerare che potrebbero col tempo accrescere il proprio ruolo sovranazionale a motivo delle rotte dell’energia e degli scambi fra Est e Ovest. Tuttavia – senza l’applicazione di una strategia armonica che conduca i vari Paesi dell’area ad allinearsi in modo concreto – è da ritenere che la ex Jugoslavia resterà ancora per molto tempo emarginata a causa della sua stessa frammentazione, dei nazionalismi di ritorno e di un’involontaria liminalità.