La geopolitica energetica del XXI secolo
Accanto alle impressionanti accelerazioni delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che caratterizzano il crinale tra XX e XXI secolo, l’elemento territoriale – da alcuni analisti della globalizzazione affrettatamente relegato agli atlanti del passato dopo la caduta del Muro di Berlino – torna ormai ad affermarsi come discriminante fondamentale nella competizione tra gli Stati. Una componente che sembra soprattutto sostanziarsi, all’interno di un un’ottica geografica generale, nella corsa per il conseguimento della disponibilità e del godimento di vasti depositi energetici – l’ago più verosimile della bilancia egemonica del vicino futuro – e con essi, naturalmente, al controllo delle direttrici di distribuzione dell’energia stessa. Gli attori di questa odierna concorrenza globale saranno pertanto coloro i quali potranno anzitutto aggiudicarsi i giacimenti migliori di combustibili fossili, come petrolio e gas naturale. In particolare il greggio, che copre ancora al presente e da solo quasi il 40% della domanda universale di energia, con più di 80 milioni di barili al giorno. Si profilerebbe così uno scenario internazionale sicuramente meno lineare di quello da noi conosciuto nel secolo appena trascorso: un panorama dove non sarà affatto scontato discernere gli slittamenti geopolitici che muteranno le sorti dei rapporti tra centro e periferia, nel profondo della nostra società.
La Russia, in primo luogo, è tra gli interpreti più attivi del prossimo «Grande Gioco» sovranazionale e negli ultimi anni registra per propria parte il ritorno a un’aggressività incisiva che trova nella politica dell’energia e nella pressione geo-strategica due formidabili strumenti di affermazione. L’area che va dal Caucaso ai confini con la Cina – principalmente il Kazakhstan, ma anche il Turkmenistan e l’Uzbekistan – costituisce infatti un bacino di cospicue ricchezze energetiche, collocato per sua stessa disposizione al cuore della contesa tra le grandi potenze interessate a investire nella ricerca di idrocarburi e gas naturale. La Russia intende pertanto ritagliarsi e consolidare nella regione un ruolo di primo piano a fronte degli Stati Uniti e della Cina, che stanno intessendo fitti rapporti diplomatici e commerciali con i cosiddetti «-stan countries», al fine di garantirsi una buona riserva di fonti essenziali alla propria economia. Proprio la Cina – non a caso considerata da molti analisti economici «la fabbrica del mondo» a ragione della sua irresistibile crescita – appare sempre più capace di un progresso economico senza paragoni e di un dinamismo demografico senza precedenti. Sembra perciò credibile ipotizzare come la «Terra del Dragone» utilizzerà ben presto la capitalizzazione economica per alimentare le proprie ambizioni strategiche sull’Asia Maior, attuale frontiera delle relazioni internazionali.
In questo contesto si inserisce poi l’India, la più popolosa democrazia del mondo. Un impero «soft», laboratorio della nuova middle class globale, che punta in primo luogo sulle dinamiche di sviluppo della sua giovane popolazione. Forte di questo determinante fattore demografico che la pone in una posizione cruciale per l’immediato domani, investendo cifre ingenti e grandi risorse nella tecnologia e nell’innovazione, l’India si pone pertanto come il più credibile contrappeso immediato della Cina in Oriente, pur risentendo al proprio interno di pericolosi disequilibri legati alle dinamiche tradizionali della propria società. Le Americhe vedono invece il sempre più netto profilarsi del Brasile che, oltre al petrolio, sfrutta con dinamismo anche i biocombustibili, producendo in questo modo il 70% dell’etanolo mondiale, insieme agli USA. Che ne sarà allora dei medesimi Stati Uniti? – una sorta di riluttante impero privo di assoluto predominio. Gli USA resteranno di certo la potenza con cui, in tutti i modi, dovranno ancora a lungo misurarsi gli altri Paesi in via di sviluppo, ma essi stessi saranno costretti a dividere la propria primazia – fortemente mantenuta dalla fine della Guerra fredda – oppure, in una visione forse più realistica, a duramente contenderla ai quattro imperi emergenti.