La nostra Italia unita non deve essere un’utopia
“Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani”- lo diceva Massimo d’Azeglio in un discorso ai “neo-italiani” del 1861. Sono trascorsi 150 anni dall’incoronazione di Vittorio Emanuele II primo re d’Italia, eppure dobbiamo mestamente constatare che questo proposito ancora non è stato realizzato.
Gli anni passano, come anche le generazioni: i nostri usi, il nostro modo di vivere e vedere la vita, si sono a tal punto rivoluzionati da essere quasi irriconoscibili, eppure i pregiudizi sono sempre là, immobili, alla stregua di baluardi insormontabili. Siamo giovani, moderni, tuttavia pensiamo e ragioniamo troppo spesso come anziani. Anche noi vediamo l’Italia spezzata, in regioni, province, finanche paesi, troppo diversi e distanti per essere compresi, accolti come propri. Parliamo di “terroni” o “meridionali” come se stessimo parlando di un’altra civiltà, non ci riconosciamo realmente come un popolo unito; la proposta del federalismo ne è una prova lampante. Con ciò non voglio insinuare che il federalismo sia di per sé una cattiva idea, affatto, direi piuttosto che nell’Italia d’oggi è quasi una necessità. Si tratta però di una medaglia a due facce; il rischio sta nel trasformare una scelta oculata da un punto di vista politico, economico e forse anche sociale, in un tornado ideologico incontrollabile.
Sto parlando di quell’ideologia malata che fa distinzione tra italiano e italiano, sto parlando di quella guerra civile fatta di luoghi comuni e abitudini, che continua imperterrita a dilaniare il nostro Paese. Non saremo mai competitivi, non saremo mai propositivi, se non riusciremo ad essere un popolo. Abbiamo bisogno di assaporare quel patriottismo dato unicamente dall’amore e dal rispetto per le proprie origini. Al contrario stiamo palesemente dimostrando di disprezzare la nostra Italia; ci lamentiamo dello stato attuale delle cose eppure non facciamo nulla di concreto per cambiarle. Siamo passivi, inermi automi in attesa di ricevere un ordine. Ma ricevere un ordine da chi, mi chiedo; nessuno può decidere delle nostre esistenze fuorché noi stessi. Basta lasciarsi trascinare dall’onda della noia e dell’inerzia; siamo uomini e donne in grado di lottare, siamo Italiani, tutti indistintamente. Se uno di noi affonda, affondiamo tutti – ciò che sta accadendo ora in Italia, ne è un palese esempio. Come credete ci vedano all’estero? Ma soprattutto noi italiani, come vediamo noi stessi? Pochi sono orgogliosi del paese in cui vivono, forse nessuno lo è veramente. È dunque facile festeggiare questa unità, più teorica che altro; quando invece la strada da percorrere è ancora lunga e impervia. Ma arriverà il giorno in cui sfoggeremo il nostro tricolore con l’orgoglio che merita.
In primis, però, dobbiamo ammettere che è indispensabile lavorare su noi stessi: dobbiamo rendere l’Italia il paese nel quale proiettiamo le nostre vite future. Dobbiamo lottare per cambiare ciò che limita la nostra intraprendenza e creatività, rendendo questo Stato l’utopica concretizzazione dei nostri sogni. Tutto ciò è possibile, non facile certo, ma possibile. Dobbiamo partire dal piccolo e spostarci poi verso il grande, dobbiamo essere ambiziosi e sprezzanti, perché siamo noi i padroni delle nostre vite ad immagine delle quali si plasma il mondo in cui viviamo.