23 Aprile 2012   •  News

La silenziosa e spietata tassa dell’inflazione

Redazione

Abbiamo parlato degli effetti recessivi delle famigerate tasse disposte dal Governo Monti e, più in generale, della scellerata tradizione anti-economica del nostro Belpaese. È bene però ricordare, che vi è un’altra silenziosa imposta che va ad aggiungersi alle imposte “manifeste” (dirette e indirette), ossia la “tassa” dell’inflazione. I dati pubblicati nel mese di marzo 2012, parlano di un’inflazione (ovvero di un aumento generale dei prezzi) che arriva a sfiorare il 4%*. Dato di per sé non particolarmente allarmante, tenuto presente che un’inflazione del 2/3% è assolutamente “strutturale” alla crescita ordinaria di ogni Paese, ma che diventa preoccupante se affiancato ai dati della (non) crescita della nazione: in recessione a quasi un punto percentuale, ma con previsioni in ulteriore discesa. È quindi corretto riferirsi agli effetti dell’inflazione assimilandoli a una tassa: ovvero con il risultato che tali conseguenze finisco per divorare i nostri patrimoni. Alcuni effetti dell’inflazione sono conosciuti: il prezzo dei prodotti aumenta, e il nostro potere d’acquisto diminuisce, lo Stato ottiene meno entrate perché consumi e commercio diminuiscono, il debito pubblico diventa sempre più relativamente insostenibile etc. Ma non finisce qui.

Esistono infatti una serie di effetti “secondari” raccontati malvolentieri dalla letteratura economica (spesso pro-inflazionistica e pro-spesa), ma con conseguenze ugualmente pericolose. Uno di questi è il «Fiscal Drag». A causa dell’inflazione (e di previsione di ulteriore inflazione), i cittadini chiederanno ai datori di lavoro, e al Governo, un aumento dei salari per fronteggiare l’aumento delle spese. Questo, oltre a generare un ulteriore innalzamento dei prezzi dei prodotti (in qualche modo gli imprenditori devono ripagare questi aumenti) porterà a un ulteriore conseguenza: i lavoratori pagheranno ancora più tasse. Vediamo con un esempio:

Il lavoratore Rossi ha uno stipendio di 1000 € a Gennaio 2011. A seguito dell’innalzamento dell’inflazione, Rossi ottiene un aumento di 100 €, così che il suo stipendio arriva a 1200 a Gennaio 2012. Il problema è che mentre nel 2011, il sig. Rossi pagava il 35% di tassa sui redditi, nel 2012, salito di “livello”, si troverà a pagare il 40% di tasse sul reddito. Insomma, nel 2011 al sig. Rossi rimanevano in tasca 750 €, e nel 2012 nonostante l’aumento, finiscono per restargliene solo 720. Questo problema tende a verificarsi chiaramente nei paesi a tassazione progressiva, come appunto, l’Italia. Un ulteriore effetto, che però riguarda lo Stato (e meno direttamente il cittadino) è il cosiddetto «Effetto Tanzi», che descrive una situazione in cui le entrate dello Stato diminuiscono, proprio a causa dell’inflazione. Anche qui può essere utile un esempio:

Lo sfortunato sig. Rossi fa i conti e si trova a pagare 5800 € di tasse per l’intero anno fiscale, a dicembre 2012. In realtà il pagamento viene fatto circa 5/6 mesi dopo, e, sotto inflazione, quei 5800 € varranno sempre meno per lo Stato italiano, perché se a dicembre 2012 (quando è stato contabilizzato l’ammontare) potevano valere 100 panchine e 20 lavagne, ora il loro potere d’acquisto è sceso a 90 panchine e 15 lavagne, poiché i prezzi sono appunto, aumentati. Insomma, è chiaro che oltre ai “tradizionali” problemi dell’inflazione ve ne sono altri meno noti ma ugualmente pericolosi. È evidente che il Governo può intervenire e ridurre il rischio di inflazione facendo una cosa molto semplice: non fare niente. È ora che gli irresponsabili Governi italiani pongano fine alla sconsiderata spesa pubblica e alle “imprudenti” manovre politico-economiche fatte al 90% di tasse. Lasciate l’economia libera di respirare, lasciate I cittadini liberi di guadagnare.

*Dati Banca Mondiale e Banca d’Italia.