Sul terremoto dell’Emilia: considerazioni e rischi legati alla ricostruzione
Desidero esprimere alcune considerazioni (e qualche preoccupazione) sul terremoto che ha duramente colpito i paesi del modenese in cui sono nato e vissuto. Ma lo farò in estrema sintesi, perché le sensazioni sono forti e strettamente personali, dal momento che il sisma ha colpito persone e luoghi a me cari.
Prima considerazione. La forza del terremoto ha superato in intensità quello dell’Aquila del 2009. Se le vittime sono state 26, a fronte delle 309 dell’Aquila, lo si deve principalmente alla migliore qualità delle costruzioni e alla loro relativa modernità rispetto a quelle aquilane. Qualcuno ha fatto circolare la voce che all’estero un terremoto di questa intensità avrebbe solamente spostato i soprammobili. È una evidente falsità perché i terremoti di questa forza provocano sempre vittime e crolli, anche quando colpiscono la California o il Giappone che sono i luoghi meglio attrezzati al mondo per fronteggiare questi eventi. Le profonde voragini aperte nel terreno, lunghe anche cento metri e larghe quasi due, causano il crollo anche della casa più antisismica del mondo. Non ci sono Santi.
Seconda considerazione. Chi conosce un minimo le zone interessate sa che fino agli anni ’90 la provincia di Modena era quella col più alto reddito procapite in Italia. Oggi è pur sempre nelle prime dieci. Questa ricchezza è in gran parte dovuta all’alta concentrazione di attività produttive, che si esprime in milioni di metri cubi di capannoni. I crolli hanno riguardato solo una piccola percentuale di essi, per lo più concentrati nelle zone dell’epicentro. Ciò nonostante che la zona fosse classificata a basso rischio sismico e che, pertanto, le tecniche costruttive fossero adeguate al rischio ipotizzato. Quindi Confindustria ha qualche ragione quando sostiene che nella generalità dei casi le fabbriche sono ben costruite. E non potrebbe essere diversamente. Si ha minimamente cognizione del numero di controlli e di collaudi a cui è sottoposto un capannone prima di poter iniziare la propria attività (vigili del fuoco, asl, comune, ispettorato, ecc.)? Quindi, per favore, smettiamola anche con la menzogna che i capannoni servono solo per ripararsi dalla pioggia.
Terza considerazione. Un grande prefetto maestro di amministrazione dello Stato, Aldo Buoncristiano, sosteneva che a ogni calamità naturale ne segue immediatamente un’altra: quella delle autorità in visita ai luoghi sinistrati. Sembra che le cose siano andate così anche questa volta. Prefetti, questori, comandanti dei vigili del fuoco e sindaci, anziché occuparsi dei primi soccorsi, devono accogliere e accompagnare ministri e autorità in visita ai luoghi colpiti. Il presidente degli Stati Uniti venne criticato, ma non si recò immediatamente sul luogo dell’attentato alle torri gemelle. Forse se le autorità politiche sentissero i commenti che seguono il loro passaggio si asterrebbero da impopolari passerelle. E le loro colonne di auto coi lampeggianti, ormai improponibili in tutt’Italia, stridono ancor di più accanto alle macerie. Dovrebbero capirlo da soli.
Quarta considerazione. Le cinque province dell’Emilia e della Lombardia che hanno risentito del sisma producono insieme il 10% del PIL nazionale; l’1,50% nel solo distretto di Mirandola. Un danno enorme, se si pensa che la recessione in atto già da sola comporta un saldo negativo del Prodotto. Le conseguenze si fanno sentire anche oltre i confini nazionali: la Bmw ha fatto sapere che è probabile un ritardo delle consegne dal momento che la sua componentistica è in gran parte prodotta nel ferrarese. Pensiamo anche ai danni nel settore biomedicale: i tre comuni confinanti di Mirandola, Cavezzo e Medolla rappresentano il secondo centro al mondo in questo settore. Gli apparecchi per la dialisi utilizzati in tutt’Europa vengono in gran parte da qui e la metà delle valvole cardiache e degli organi artificiali a livello mondiale sono prodotti in questo fazzoletto di terra. Se gli stabilimenti non ripartiranno a breve ne risentirà l’intera economia nazionale e ne risentiranno gravemente le persone in attesa di trapianto.
Quinta considerazione. Le zone colpite sono ben organizzate. Alle 4.05 di mattina il sisma aveva reso inagibile il municipio di San Felice: bene, alle 7 era già allestita una tenda con gli impiegati al loro posto a offrire assistenza e a mezzogiorno erano serviti migliaia di pasti caldi agli sfollati. Ha ragione Smargiassi a sostenere su “La Repubblica” che il “piccolo Stato” si è mosso senza stare ad aspettare il “grande Stato”. Per rimettere in piedi la macchina produttiva e ripristinare le infrastrutture danneggiate il “piccolo Stato” non può però fare a meno del “grande Stato”. Il sindaco di Modena ha ricordato che quanto verrà speso tornerà alla collettività con gli interessi: lo Stato, quello grande, ha stanziato 3,5 miliardi di euro per la ricostruzione, ma i piccoli comuni dell’area nord modenese, da soli, versano annualmente sette miliardi di euro di irpef. In pratica, lo Stato ha stanziato per l’emergenza la metà di quanto incassa in un anno da queste zone dalla sola irpef. C’è poi il problema imminente degli alloggi. Chi ha perso la casa o non ne ha l’agibilità cerca risposte che, finora, non trova. Quanto durerà la permanenza in tenda? Arriveranno dei prefabbricati? Una volta abbattuta la casa quali saranno le prospettive? Cosa accadrà da qui all’inverno per chi non potrà tornare nelle proprie abitazioni? Tutti si affrettano a dire che lo Stato non abbandonerà queste zone. Questo va bene, ma occorre qualcosa di più concreto e se ci sono dei progetti vanno resi noti per uscire da questa situazione di limbo.
Ultima considerazione, ma non in ordine di importanza. La ricostruzione, già lo si sa, costerà qualche miliardo di euro. Troppi perché non facciano gola alle organizzazioni malavitose già presenti sul territorio e ben salde proprio nel settore dell’edilizia. Chi gestisce le imprese edili da queste parti? Spesso si tratta di nomi noti alle cronache e che destano più di un sospetto. E allora è importante non ingrassare il crimine sotto la spinta dell’emergenza assumendo le misure del caso.