Educazione e libertà
con l’intervento di Maria Stella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca
Settembre 2009, pp. 176
Sarebbe irrealistico e velleitario – e forse anche un’ipocrita abdicazione da responsabilità più ampie – immaginare che la scuola possa supplire completamente alla diffusa crisi educativa. È bene dirlo con franchezza: una ristrutturazione, anche profonda, del sistema scolastico, non può essere considerata come l’unica leva per avviare a soluzione il problema; ma, certamente, deve essere il punto d’attacco, l’ambito da cui cominciare.
La crisi del modello classico continentale di istruzione ci rimanda, addirittura, alla Francia del Dicannovesimo secolo, dove il tentativo della Repubblica di mettere radici in grado di resistere ai terremoti che la febbre rivoluzionaria avrebbe reso periodici passò anche, e soprattutto, da una concezione integralista e totalizzante dell’educazione pubblica.
È per questo che sin dagli ultimi decenni del Diciannovesimo secolo lo Stato pretende il monopolio dello stile, dei principi, dei metodi, dei contenuti e persino degli spazi dell’istruzione. Mentre l’architettura scolastica giunge a descrivere i suoi irrinunciabili stilemi quasi fossero dogmi scolpiti sulle pietre, si afferma l’icona del maestro laico, repubblicano e quindi di sinistra, modello di virtù pubblica e, al contempo, custode delle tavole sacre della cittadinanza con il compito di trasferirle di generazione in generazione.
In Italia l’idolatria statalista nell’ambito della scuola non ha mai scalato i picchi dell’intolleranza e dell’illiberalità: la parità scolastica è rimasta, nel senso comune, un obbiettivo regressivo che, però, non ha mai determinato chiusura di istituti o divieti. Si fa fatica a sbarazzarsi dei residui di quelle concezioni, più antiquate che antiche, che poggiano su un malinteso ideale di laicità. Si fa fatica a individuare in una libera e regolamentata competizione di metodi e contenuti la strada dalla quale potrà transitare nel Ventunesimo secolo un ideale di cittadinanza veramente inclusivo. E, in quest’orizzonte, si fa ancor più fatica ad accettare un’idea dell’educazione che parta dalla persona, dalle sue inclinazioni e dalla loro valorizzazione, piuttosto che da un astratto ideale di “bene pubblico”.
E forse questa assenza di classicità ci ha anche privato di un parametro alto che possa aiutarci a considerare tutta la nefandezza dell’ultimo ciclo storico: quello inauguratosi con il lungo Sessantotto italiano e con i suoi epigoni. Una stagione dura a morire, che nell’ambito dei sistemi relazionali che gravitano all’interno della scuola e attorno a essa, ha comportato – per quanto politicamente scorretta possa apparire questa espressione – un progressivo svuotamento del principio di autorità nel rapporto tra alunni e docenti, tra docenti e dirigenti scolastici, tra personale docente e personale non docente, tra l’istruzione scolastica e la famiglia.
Indice
Presentazione
di Gaetano Quagliariello
PARTE I
“Un’“alleanza educativa” per la riforma della scuola e dell’università” di Mariastella Gelmini
Dibattito
Raimondo Cubeddu
Luigi Compagna
Roberto Pertici
Sergio Belardinelli
Giovanni Belardelli
Cesare Cavalleri
Giorgio Israel
Giovanni Formicola
Giuseppe Parlato
PARTE II
“Educazione: proposta alla libertà” di Giancarlo Cesana
Dibattito
Eugenia Roccella
Franco Silanos
Raffaella Delsanto
Elisabetta Leslie Papacella
Gianluca Sadun Bordoni
Maurizio Schoepflin
Fabrizio Lombardo Pijola
Giovanni de Cesare
PARTE III
“Educazione e libertà. Contributi al dibattito Scienza, libertà e sviluppo” di Lilia Alberghina
“La scuola italiana e la laicità epistemologica” di Stefano Fontana
“Scuola, società, tecnologia” di Giuseppe O. Longo
“Affrontare l’“emergenza educativa” per ritrovare se stessi” di Daniele Celli
Lettera di Mons. Luigi Negri
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